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sono accadute tante cose, in questa ultima settimana, ma ultimamente ho timore di scrivere, ché quando rileggo, mi scopro invecchiata.

si scrive per se stessi, per gli altri, per chi si ama, per pubblicità, per lavoro, oppure solo per diletto, non so. si scrive, poi magari si aspetta, anche che qualcuno legga.

nel post precedente, parlavo della paura di questa pagina bianca, e mi sono chiesta se non derivasse dalla pubblicazione del libro, o se è solo una paura che deriva dall’estate. io non la sopporto. non sopporto il sole, la luce, ché loro si portano via le persone, ché la vita è fuori. è fuori da me.

mi chiedo il leggere, se porti leggerezza, o se non provochi ulteriore stanchezza.

vedo libellule, aggirarsi dietro le vetrine. è la gioventù, che sembra senza pensieri. senza un domani, da costruire. 

i miei domani sono oggi. e a volte sono di piombo, e m’avvolgono. ci provo, a riavvolgere la serranda che è nella testa, ma non sempre riescono ad uscire.

esco dalle idee, ma ho una méta. è scritto. poco importa, chi l’abbia deciso. serve. serve ad arrivare, forse, forse alla prossima fine.

ho disabilitato i commenti, ché non voglio più abitudini. è come per i telefonini. uno aspetta, aspetta che ti arrivi un messaggio, così poi rispondi. invece a me arrivano solo risposte. ho chiuso molti ponti.

un tempo avevo un cane, e un giorno non ce l’ho più avuto.  si chiamava menelik. poi.

poi capita che vai in giro a leggere, e trovi un video. e vedi. vedi quello che hai visto quando avevi otto anni. vedi quello che hai vissuto quando all’improvviso ti sei sentita con cento anni addosso. e senti l’abbandono.

chi abbandona un animale, è un bastardo. così, c’è scritto, alla fine di quel video.

l’abbandono è quel dolore che non si toglie più, per tutto il tempo che ti resta da vivere. tu vivi, ma l’abbandono resta. e ti senti da cani.

lo guardavo rincorrere la nostra appia. è un dolore che non dimentico, come tanti altri. purtroppo.

non ho mai perdonato mia madre, ché non volerlo più è stato come non volere me. ho giustificato mio padre, per quelle lacrime che gli rimpiccolivano gli occhi, ma non so se l’ho perdonato davvero.

mi guardo pisolo, mentre mi fissa dalla cuccia, e mi sento madre. non so fare la madre di mia figlia, ma anche lui è mio figlio, eppure quando desidero morire, so di essere doppiamente una bastarda, come mia madre. e non mi perdono.

voi, non fatelo.

non fate nessuna delle due cose, ché quel cane, un giorno, potresti essere tu…