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una telefonata, a volte, ti fa venire in mente, una telefonata.

mi arrivò in un giorno, di festa. non ricordo, se fosse proprio festa, ma ricordo che era sabato o domenica. e quel giorno, divenne la sua.

non c’è più, mi dissero. e il seguito fu solo dolore, anche d’impotenza e delusione, verso me stessa, ché non sono riuscita a morire, nemmeno per amore.

lei sì.

non aveva niente, nemmeno sul selciato, ché si era gettata nuda, nuda di corpo denti e capelli.

la sua immagine era rimasta nello specchio del bagno. chissà cosa le rispose, prima di fare quel gesto. e chissà, quanto coraggio, nell’aprire quella finestra. e il freddo, dentro.

c’era freddo, in quella casa, oltre alla fame dei bisogni. solo bollette non pagate, appese alla lista della spesa.

aveva speso la vita appresso all’amore, dei figli, del suo uomo, e la sua anima si spense dietro quegli affetti che l’avevano lasciata senza timore. ma lei non portava rancore, a nessuno.

e nessuno l’ha costretta, a quella decisione assurda, per qualcuno. sono scelte, quelle di levarsi di mezzo, che arrivano, quando non cammini.

è andata dritta in paradiso. fu la risposta del prete, ai miei occhi che chiedevano, perdono, anche per lei.

lei aveva fatto molti sbagli, ma il più grande fu l’unicità, con cui aveva reso le persone che aveva amato. e amaro fu il risultato dell’incomprensione, nel momento che tutto divenne delusione.

si legò ad un filo di coraggio, quando vide lo Spirito Santo, nel volo di una nuvola, disegnata in cielo in un giorno pieno di sole. forse era solo l’ombra di un bisogno, ma lei lo vide, in quel disegno, e ci disegnò la sua fede. ma a volte, il dolore diviene gomma da cancellare, ed anche lo spirito evapora, se lasciato senza il suo tappo.

ma quanto colore occorre, affinché la fede non sbiadisca? non so, me lo chiedo spesso, e me lo chiedo pure adesso, quando faccio i conti col mio spirito, ché non è molto alto, e nemmeno santo, ché pensa scemo, specialmente quando dice di credere.

non so, se credo veramente, ma penso che l’Amore vero è quello che libera, dall’amore stesso, e lascia liberi, ché quello che lega, è peggio del morso d’un leone. e mi domando quante prede devo avere avuto, visto che ho guardato l’amore fuggire, come dal treno, un saluto.

e saluto, ogni giorno con sgomento, ché nella notte avverto il timore del risveglio. poi la mano passa, se arriva un altro aiuto, ché Lui  mi dice non temere. ma allo squillo della sveglia, ritorna il mare con la sua tempesta.

e allora, penso alla vita come fosse pasta, ché nella dieta anche lei s’appresta svelta, a sparire.

e svelte, le morti, m’hanno attraversata. è una fortuna, mi dicono. io non saprei dire invece, ma so che continuerò a sbagliare, ché son rimasta con pochi denti, per mangiare. e poi, i capelli, a chi vuoi che interessi sapere, quanto pianto hanno avvolto.

a volte penso, che la vita resta in bilico, al piede che prende, anche una telefonata.

infatti ancora oggi mi dico:

chissà, se quel giorno, l’avessi chiamata…